Parlano i ragazzi

«Quest’anno ho deciso di impegnarmi perché, alla fine, ho pensato che non voglio arrivare a vent’anni e non avere concluso niente. Quest’anno mi ha fatto riflettere e pensare che prima o poi avrei dovuto lavorare e, se non sono pronto, cosa faccio davanti al datore di lavoro? Gli dico: ‘Non sono capace’? Come minimo mi dà un calcio e mi butta fuori. Infine vorrei dire che, secondo me, voi andate a cercare col lanternino i più stupidi personaggi della Lombardia, come me».

«Cara Emilia, tu hai costruito una cattedrale e questa cattedrale e’ la
nostra scuola. Io la chiamo ‘nostra’ perche’ dopo tre anni anch’io ho potuto aggiungere quel tassello importante per farla diventare mia».


«Quest’anno ho avuto parecchie soddisfazioni, come, ad esempio, tutti i bei voti che ho preso, tutti i piatti che ho imparato a cucinare. La soddisfazione piu’ grande e’ che qualcuno finalmente si e’ fidato di me!».

«Non solo io, ma tanti altri ragazzi dopo aver avuto delle delusioni
scolastiche possono venire qui a trovare riparo come sotto un grande
ombrello. In questi tre anni (ero stata bocciata in un altro istituto) ho
capito che non ero io che non volevo andare a scuola, ma era la scuola che non era così interessata a farmi imparare. A In-Presa mi è venuta voglia di studiare».


«Sono venuto qua per caso. Dopo la terza media ho cambiato comunità e la scuola che avevano scelto per me prima era troppo lontana. Mi ritengo veramente fortunato di questo ‘cambio’ perché questa scuola mi ha dato molto, non solo a livello di istruzione, ma mi ha aiutato a crescere. Puoi parlare con i professori e con loro trovare insieme la soluzione dei problemi. Una cosa molto utile di questa scuola sono i tutor perché è un modo di dirti: ‘Non sei solo!’».

«...Nel confronto con gli adolescenti Emilia faceva di tutto per trovare il
punto d’appoggio affinché loro potessero aprirsi a un rapporto. Per lei
educare significava far “venire fuori” l’altro. Per cui, questi giovani
che, seduti a un banco di scuola soffrivano, lei cercava di metterli alla
prova attraverso il lavoro. E poi, tramite questo, far loro recuperare anche le nozioni indispensabili che sui banchi si erano rifiutati di
apprendere...».


Dal libro “Emilia e i suoi ragazzi”

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